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Marcello Mastroianni e Federico Fellini|||Conversazione con Fabio Melelli

Fabio Melelli (Copenhagen, 1970) è giornalista, critico cinematografico e docente universitario. Autore di numerosi volumi, attualmente insegna Storia del cinema italiano nei corsi di Lingua e Cultura italiana dell’Università per Stranieri di Perugia. Tra le sue pubblicazioni da segnalare: Eroi a Cinecittà. Stuntmen e maestri d'armi del cinema italiano (Mercurio, 1998), Sequenze di pubblica amministrazione nel cinema italiano (Provincia di Perugia, 2003), Sergio Leone e il western all'italiana. Tra mito e storia (Morlacchi, 2010), Kiss kiss... Bang bang. Il cinema di Duccio Tessari (Bloodbuster, 2013), Attori stranieri del nostro cinema (Gremese, 2006), Claudia Cardinale (Gremese, 2009), Il doppiaggio nel cinema italiano (Bulzoni, 2010), Il doppiaggio nel cinema di Hollywood (Bulzoni, 2014), L' Umbria sullo schermo. Dal cinema muto a don Matteo (Aguaplano, 2016), La Tv prima e dopo Carosello (1939-1977) (Aguaplano, 2017), Il doppiaggio nel cinema europeo (Bulzoni, 2018).

Quest’anno si celebra il centenario di Federico Fellini (nasce il 20 gennaio del 1920) che lei ha in un certo senso inaugurato già dallo scorso anno con una mostra tenutasi a Perugia, La pista dei sogni. Federico Fellini tra cinema e circo. Federico Fellini è stato il regista, di cui Mastroianni ha rappresentato l’alter ego per eccellenza. Cosa può dirci riguardo la loro storica collaborazione in La dolce vita, 8 e ½ , La città delle donne, Ginger e Fred, con particolare riferimento ai personaggi interpretati dal celebre attore?

Ne La dolce vita [1960] Marcello Mastroianni è Marcello Rubini.
Con questo film Fellini trova in Mastroianni un perfetto alter ego, una sorta di proiezione psicanalitica in carne ed ossa. Nel ruolo del giornalista annoiato che ha perso il contatto con la vita reale, immerso nel sogno edonistico e ipnotico del boom, Mastroianni rende visibile lo sguardo di un cineasta inattuale, e per ciò stesso sempre contemporaneo, che nel presente sa cogliere i germi del futuro. Film male interpretato, tra i più fraintesi della storia del cinema, nonostante il titolo è un vero e proprio viaggio al termine della notte, in fondo all’inferno, senza una luce che possa rischiarare un’umanità perduta. Talmente contemporaneo che Sorrentino potrà rifarlo tale e quale oltre cinquant’anni dopo con La grande bellezza, aggiornandolo solo parzialmente, citando apertamente Céline nel primo cartello dei titoli. La dolce vita è quella di uomini ridotti a zombie in uno scenario apocalittico da film dell’orrore, una Roma sinistra e minacciosa, in cui Marcello, con il suo disincanto, si muove come l’ultimo uomo sulla terra, per citare un bel film di fantascienza di qualche anno dopo, girato proprio nella capitale. Per un attimo sembra ritrovarsi, quando Silvia, novella Cibele, lo invita a purificarsi nell’acqua della Fontana di Trevi, ma è solo un attimo. Marcello esce completamente asciutto dal grembo materno, la rinascita non è solo rimandata, ma impossibile, come testimonia il finale, in cui un mostro marino viene portato a riva, mentre un essere androgino, una sorta di angelo, cerca di comunicare con Marcello. Ma Marcello non comprende più la voce della purezza e si allontana di spalle verso il suo destino di morte.

In 8 e ½ [1963] Marcello Mastroianni è Guido Anselmi.
Non è forse un caso che questo film sia uno dei più amati dai cineasti di tutti i tempi, in quanto Mastroianni qui rappresenta la quintessenza del regista cinematografico, truccato e abbigliato come lo stesso Fellini, di cui è l’artistico sosia sullo schermo. Alla crudezza della Dolce Vita si sostituisce la leggerezza di un mondo incantato, in cui il sogno prevale su ogni accento di realismo. Mastroianni danza letteralmente nelle inquadrature, come direbbe Orson Welles, librandosi dai sentimenti terreni per accedere al mondo della creatività. Autobiografia immaginaria di una generazione che ha reso l’Italia un paese migliore di quello uscito dal Fascismo e della Guerra, un mondo relegato oggi in un lontano, evanescente ricordo.

In La città delle donne [1980] Marcello Mastroianni è Marcello Snàporaz.
È ancora un viaggio quello compiuto da Mastroianni e Fellini in questo film, un viaggio freudiano alle radici della sessualità, illuminato da simbolismi di matrice junghiana. Una lunga seduta psicanalitica in cui lo Snaporaz di Mastroianni, ancora un alter ego di Fellini, regredisce all’infanzia, rendendo palese il rapporto del regista con l’universo femminile, affrescato con un gusto immaginifico che rende conto della fascinazione quasi circense che il sesso debole esercita sul cineasta riminese.

In Ginger e Fred [1986] Marcello Mastroianni è Pippo Botticella/Fred.
Qui Mastroianni veste i panni di un povero artista di avanspettacolo, un reperto del passato che si ritrova a vivere in un mondo grottesco, che visto con gli occhi di oggi, a distanza di trentacinque anni, sembra una lucida prefigurazione dei tempi che stiamo vivendo. In una società, completamente asservita alle regole del più bieco commercio e del profitto economico ad ogni costo, segnata da una pubblicità oscena invadente e pervasiva, anche la comunicazione è ridotta a pornografia dei sentimenti. La televisione non è più uno strumento di educazione e intrattenimento, ma un volano di ignoranza e stupidità, dove trionfa l’esposizione del dolore e del caso umano. Un film amarissimo e terribile.

 

[photo by Giancarlo Belfiore]

 

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